venerdì 2 agosto 2013

Il Pellegrino

Città del Messico, estate 1994

IL PELLEGRINO

Nessuno conosce la città del pellegrinoeterno straniero, passeggero riflesso della città, occhiocamminante, unico sguardo sulla città, tra milioni di gambe cieche, vecchia città uniforme, unisona, agglomerata urbanamente dai suoi calpestatori indefessi e disamorati, città che del pellegrino ad un tratto subisce il taglio, la divisione, l'articolazione, la sottolineatura, l'incorniciamento, il chiaroscuro, lo scorcio, il denudamento delle parti intime, ringiovanita da ogni anno che gli viene ricordato come il risuonare ritmico nella memoria del primo scalpello che gli ha soffiato la vita, città che prima di tramontare quotidianamente ha da togliersi il trucco, in faccia allo specchio pellegrino, prima che egli parta e la abbandoni alle sue fredde mura e strade d'asfalto, al silenzio della vista dei suoi abitanti, e ne scelga un'altra, un'altra volta, tradita e giocata sulla piazza della prossima città.


Il pellegrino cammina e vede 
il cittadino calpesta ed è cieco.



venerdì 26 luglio 2013

Pour Marcel Duchamp: la democrazia messa a disposizione dei suoi cittadini [1993]



La Sposa messa a nudo dai suoi celibi o Il Grande Vetro

§

- Io credo nella "solidarietà con i disoccupati".
- Io credo nella "ruota di bicicletta".
- Ognuno ha le sue opinioni.
- Certo.
- Credo, per esempio, nell'"allargamento della partecipazione".
- Come si disegna?
- Cosa?
- L'"appartamento sulla circonvallazione".
- Con la "prospettiva lineare".
- Il contrario della "prospettiva di lavoro".
- Ognuno ha le sue opinioni.
- E la democrazia?
- Dove si andrà a finire se si va avanti così?
- Non cambiare discorso.
- E' vero, stavo per cambiare discorso. Ma non l'ho fatto apposta.
- Ti credo. E la democrazia?
- Hai ragione. E l'ombrello.
- Tu credi nell'ombrello?
- Che c'è di male?
- Niente...
- Però?
- Niente...Perché non gli cambi nome?
- No, perché ormai l'ho costruito.
- Davvero?
- Si.
- Non mi avevi detto niente.
- è vero. Dovremmo parlare di più. Credo molto nel dialogo.
- Già.
- Già.
- Anche ieri ne abbiamo parlato.
- Già.
- Già.
- Stanotte ho scritto un articolo.
- Si?
- Si.
- Bene. Io ho fatto un pettine.
- Ma esisteva già!
- Il mio no. Finche non l'ho fatto non esisteva.
- Sei un artista?
- Già.
- E a che serve un pettine?
- Serve, perché è la mia attuale "fase".
- Tu hai una "fase pettine"?
- Già.
- Già.
- Sei molto cambiato da ieri.
- Già.
- Ieri mi sembravi più nella "fase mulino a caffè".
- Già. Mi vengono sempre un sacco di idee in mente.
- Ma poi, tutte queste idee, le lasci andare così?
- No. Le conservo tutte.
- Come? E dove?
- In una valigia.
- Così puoi portartele a giro?
- Già.
- E tirarle improvvisamente fuori, e sfoderarle al momento giusto, e fendere l'aria, e spararle a tutti?
- Già.
- E puoi anche prestarmela la tua valigia?
- No! Io come faccio senza?
- Ma la notte, quando dormi. Io potrei uscire di notte mentre tu dormi.
- No. La notte la apro, sparpaglio le idee. La mattina ne metto dentro altre. No. Ognuno deve avere la sua valigia, il proprio bagaglio culturale. Le proprie idee.
- Già. Siamo in un paese democratico.
- Questa è una buona idea da mettere in valigia.
- è mia!
- Certo. Io ne sto preparando un'altra, molto simile.
- Cosa?
- Una macinatrice di cioccolato.
- Fammela vedere.
- Ho solo la foto. Guarda.
- è vero! Gli assomiglia!
- Si ma questa è un po' più grande.
- Come più grande? Perché, quanto è grande una democrazia?
- Mah...sarà così...
- E la macinatrice di cioccolato?
- Così.
- Si, ci vuole più tempo a dirla. Diciamo che c'entrano un paio di democrazie in una macinatrice di cioccolato.
- Già.
- Già.
- L'altro giorno ho raccolto delle idee che stavano sedute in un bar.
- Quante erano?
- Nove. Tutti maschi.
- Una bella storia.
- Già.
- Se li vuoi vedere ce li ho appesi in casa.
- Volentieri. Ma non sono un po' pesanti per stare appesi?
- Già, ma io sono un artista ingegnoso: li ho appesi con un filo di ferro.
- Già
- Già.
- Ma dopo, alla fine, che ne farai di tutte le idee della tua vita, che ti porti dietro nella valigia?
- Costruirò un grande Epitaffio, che starà in piedi da solo, senza nessun fondo o base: solo con le mie idee. Sarà quello che resta di me senza il mio corpo. Solo le mie idee. Le mie idee senza il mio corpo. Quello che rimarrà di me dopo la mia morte, in eterno.
- è come quando fanno le biografie dei grandi artisti? Tu ti fai una autobiografia?
- Si, diciamo, per essere più precisi, una radiografia. I critici letterari non sono mai abbastanza precisi nell'individuare le idee profonde di un artista, perché c'è il corpo di mezzo, che dà noia, impedisce l'evidenza definitiva. Io voglio mettere le mie idee dentro un Grande Vetro, in maniera tale che le mie idee si vedano materialmente. Costruire un grande "corpo di idee".
- Intanto se uno ha raccolto tutti i pezzi, è già a buon punto.
- Già.
- Già.
- Ognuno ha le sue opinioni.
- Non cambiare discorso.
- è vero. Sono sempre il solito. Cambio discorso. Non lo faccio apposta. Mi viene naturale. Come si disegna "non lo faccio apposta"?
- Non so, non l'ho mai visto. Ho visto molti "naturale".
- Beh, quelli c'è n'è dappertutto.
- Più delle ruote di bicicletta?
- Si!
- Bene. E più di un pettine?
- Si!
- E di un mulino a caffè?
- Si!
- E di una macinatrice di cioccolato?
- Si!
- Bene. Insomma le mie idee sono delle rarità in confronto a "naturale".
- Già.
- E di democrazie quante ce n'è?
- Più o meno quante "naturale".
- Già.
- Già.
- Già.
- Si è fatta notte.
- Già.
- Già.
- Già.
- Manca qualcosa.
- Già.
- Già.
- Vuoi sposarmi?
- Già.

« Il Grande Vetro è la più importante opera singola che abbia mai fatto »
(Marcel Duchamp)
A partire dal 1915, Duchamp lavorò a La Sposa messa a nudo dai suoi celibi, (traduzione di La Mariée mise à nu par ses célibataires, même), chiamato anche Grande Vetro: questo "quadro" è formato da due enormi lastre di vetro (277 x 176 cm) che racchiudono lamine di metallo dipinto, polvere, e fili di piombo. Nel1923, lo lasciò "definitivamente incompiuto". Il Vetro contiene e sviluppa tutta l'attività passata e futura di Duchamp, e nel tempo ha dato origine a una tale quantità di interpretazioni da farlo ritenere una delle opere più complesse e affascinanti di tutta la storia dell'arte occidentale. Durante un trasporto, subì dei danni consistenti, ma l'artista decise di non riparare l'opera proprio per dimostrare di accettare, complice del caso, la completa riassunzione-integrazione nell'opera del suo carattere inerziale di "cosa". Dal 1954, è conservato al Philadelphia Museum of Art. La sua descrizione comincia dal nome: Duchamp prescrive di non chiamarlo "quadro", ma "macchina agricola", "mondo in giallo" o "ritardo in vetro". Se la seconda denominazione ha dato adito alle più disparate interpretazioni, la "macchina agricola" è un attributo facilmente riconoscibile, dalla "fioritura arborea" della Sposa ai complessi meccanismi di trebbiatura dell'"apparecchio scapolo". Tutta la complessa attività del Grande Vetro è descritta in dettaglio dallo stesso Duchamp, (anche se in forma frammentaria, ermetica e allusiva) nelle due raccolte di appunti, la Scatola verde e la Scatola bianca.

giovedì 25 luglio 2013

Titoli

§

Sono solo titoli di testa
poi la testa s'intitolerà
nella coda
per intrattenere
il lieto infinito.