giovedì 4 marzo 2021

 


 

IL CINEMA GIARDINO PRIMAVERA


Stanotte nel dormiveglia ho rivisto com'era la strada sotto casa mia quand'ero un bambino.
Girato l'angolo del mio portone, in 100 metri c'erano le botteghe: il pizzicagnolo, l'ortolano, il lattaio, il mesticatore, la merciaia, il fornaio, la giornalaia. Dico così, ma allora si chiamavano coi loro nomi: Nandino, Adriano, Marcella, ecc...
Non avevano bisogno di convincere nessuno, avevano tutto quel che ci serviva.
A 250 metri, in mezzo alle case, c'era il cinema Giardino Primavera, dove in primavera ed estate si vedevano i film di seconda visione (io e mio padre i western di Ringo e poi Trinità; per mia madre commettevamo "peccato" ad andare al cinema, ma si arrabbiava di nascosto solo con mio padre, a me chiedeva la trama e sorrideva sempre).
A 500 metri c'era l'entrata delle Officine Galileo, ogni giorno suonava la sirena e arrivavano a piedi, in bici o in tram decine e decine di operai in tuta blu, fischiando, ridendo e scherzando; qualche volta non entravano e si fermavano lì davanti, erano molto arrabbiati e urlavano quello che avevano scritto sui cartelli: sciopero.
Non si conosceva nessuno che era senza lavoro.
Eppure ci si conosceva tutti, e tutto si sapeva di tutti. Tutti quelli che servivano agli altri. Anche solo per dirsi buongiorno e buonasera.
Ora cambiano i negozi ogni pochino, alcuni sono rimasti chiusi da anni, si cammina dritti guardando in terra o sul cellulare, e non si sa chi siamo, qui.

 

4 Marzo 2016



MIO PADRE A CAVALLO

Questi due ragazzi nella foto sono mio padre Abele, sul cavallo, e mio Zio Gioele.
Sono nati e cresciuti a Gravina di Puglia, dove si parla una specie di barese napoletanizzato, mio nonno era ferroviere alla stazione del paese, mia nonna gestiva una specie di emporio dove vendeva un po’ di tutto, cuciva i vestiti su misura, faceva le punture a chi ne aveva bisogno, e trovava il tempo di fare dieci figli, cinque maschi e cinque femmine, tutti ben educati, tranne mio padre, nu 'uaglione scapestrato e avventuriero, che però ha sempre lavorato, da quando a dieci anni lo mandarono per punizione da solo a lavorare nelle Murge, a quando è emigrato a Ginevra poi a Firenze, fin quando se n’è andato a 88 anni.
Quando avevo circa 14 anni e per le vacanze ci eravamo fermati con amici dei miei nella foresta calabrese della Sila, comparve in un prato un cavallo, senza sella, senza redini, senza staffe, senza nulla, come natura l’aveva fatto, sembrava scappato da chissà dove, nervoso e impaurito. Mio padre gli si avvicinò, mentre tutti gli dicevamo di non farlo e allontanarsi, perchè quell’animale sembrava pericoloso. Dopo pochi minuti gli era salito sopra, e si fece una bella passeggiata sotto i nostri occhi sbigottiti, tenendosi solo leggermente alla criniera del cavallo, che si era completamente rilassato. Finché al tramonto arrivò il proprietario di un maneggio, il quale stupito disse che era un loro cavallo ancora non addomesticato.
Una volta mio padre mi disse: quando da ragazzini andavamo al cinema a vedere i film western di Tom Mix e Ken Maynar, ma anche i film dei Romani dove c’erano Ercole e Sansone, noi ci sentivamo nella loro stessa epoca, perché le cose che usavano loro erano le stesse che usavamo noi: i cavalli, il carro, le stalle, il fieno, il legno, il ferro, la pietra, gli attrezzi.
Il tempo era fermo da secoli, poi è cambiato tutto nel giro di una generazione, e adesso ogni cosa diventa vecchia e si butta, a distanza di pochi giorni.
 
3 Marzo 2021